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A seguito dell’invasione del Regno di Iugoslavia e della Grecia, il governo italiano trasformò parte dell’attuale Slovenia nella Provincia Italiana di Lubiana, la Dalmazia in Governatorato, ampliò la Provincia di Fiume annettendo parte della Banovina di Croazia, occupò il Montenegro, il Cossovo, la Grecia e le Isole ionie ed egee. Inoltre contingenti italiani presidiavano parte della Bosnia e della Croazia.

La lotta contro i partigiani slavi e greci fu condotta con modalità di guerra che in Grecia furono rese ancor più aspre dalla penuria alimentare, mentre in Jugoslavia furono rese drammatiche da feroci contrasti etnico-politici presenti anche tra gli stessi ustascia, cetnici e titoisti. Gli italiani attuarono (in particolare nella italianizzata provincia slovena di Lubiana) un comportamento particolarmente violento, caratterizzato da efferate violenze, deportazioni, devastazioni di interi paesi o villaggi, internamento di civili (in campi con elevatissimo tasso di mortalità), sommarie esecuzioni di guerriglieri, presunti tali e di civili inermi.[77][78][79][80][81]

Già nel settembre 1942, l’eco della politica d’occupazione dei fascisti e delle atrocità commesse nei paesi della regione balcanica cominciò a diffondersi, tanto che Radio Milano-Libertà comunicava:

«Italiani! Le crescenti difficoltà della guerra e il dileguarsi di ogni speranza di vittoria, rendono Hitler furioso, e aumentano le sue esigenze nei confronti dell’Italia. Hitler […] pretende che i nostri soldati non abbiano né cuore né pietà, che sia annullata in essi ogni traccia di misericordia, ogni sentimento umano. Nei paesi balcanici in Grecia, Albania, Montenegro e particolarmente in Jugoslavia […] i battaglioni fascisti e purtroppo anche alcuni reparti dell’Esercito massacrano e terrorizzano quelle disgraziate popolazioni. Le camicie nere […] si distinguono in particolare per la crudele malvagità, distruggendo, devastando, incendiando villaggi e città, assassinando vecchi, donne e bambini, superando in crudeltà le stesse orde tedesche. Per eseguire gli ordini tedeschi, Mussolini non esita a disonorare l’Italia di Garibaldi e di tutti i grandi italiani che alla cultura, alla civiltà e al progresso materiale e spirituale dell’umanità diedero il loro ingegno e immolarono il loro sangue.»

( Enzo Misefari, La Resistenza degli albanesi contro l’imperialismo fascista, Edizioni di cultura popolare, 1976, p. 132.)

Rispetto agli altri crimini di guerra commessi dalle forze italiane nel corso della storia, nei Balcani non vi furono i battaglioni “indigeni” come in Africa a svolgere, ma questo fu fatto direttamente e solo dagli italiani. L’autonomia operativa lasciata ai comandanti fece sì che alcuni reparti conquistassero un triste primato.[82]

Mario Roatta

In questo senso la “Circolare 3C” emanata il 1º marzo 1942 dal generale Mario Roatta, un memorandum che inasprisce la lotta controguerriglia, modificando l’atteggiamento italiano da difensivo ad aggressivo e al quale si sono attenuti i diversi comandi, è un documento ufficiale e una inoppugnabile prova contro il Regio Esercito (vi si afferma tra l’altro che eccessi di reazione non verranno tendenzialmente puniti)[83].

Nello scenario jugoslavo la lotta si inasprì in quanto venne combattuta una guerra dove il tentativo di pulizia etnica operato dagli italiani,[84][85] si intrecciava con la guerra di liberazione contro l’occupante e una vera e propria guerra civile tra le varie etnie slave e le varie ideologie in esse presenti, tra le quali prevalse quella comunista delle formazioni di Tito.